[immagini con licenze specifiche; l’immagine di copertina è di Hassan Alì, licenza CC BY-SA 3.0]
I Kalash o Kalasha, sono un piccolo popolo dardico di circa 3.000 individui di stirpe indo-ariana del Pakistan nord occidentale; vivono sulle montagne dell’Hindu Kush meridionale e abitano nel distretto di Chitral, nella provincia di Khyber-Pakhtunkhwa. Parlano una lingua indo-iraniana. Le tre vallate che occupano sono quelle di: Bumburet, Rumbur e Birir. Sono il più piccolo gruppo etnoreligioso del Pakistan e praticano una forma di animismo che si è sviluppata dagli antichi culti indo-iraniani. A metà del novecento gli abitanti dei villaggi Kalash sono stati spinti a convertirsi all’Islam, ma ogni tentativo è stato vano perché il loro rifiuto è stato forte, risoluto e categorico. Occorre dire che una minima parte ha accettato la conversione, ponendosi di fatto al di fuori delle stessa comunità: coloro che hanno abbandonato il paganesimo non sono più considerati kalash. I kalash hanno una genesi misteriosa. Alcune ricerche hanno dimostrato una loro affinità genetica con le popolazioni euro-asiatiche dell’area archeologica della cultura di Andronovo e di Jamna, che coincidono con l’area sarmatica che va dal Mar Nero sino alle steppe asiatiche. Se è vero che sono radicati nella loro attuale area ormai da millenni, è anche vero che potrebbe esservi un legame genetico con le genti euro-asiatiche occidentali. Altre ricerche del 2008 dimostrerebbero invece che il loro gruppo sia totalmente distinto dalle popolazioni europee orientali stanziate nella Scizia di un tempo.
Per molti secoli, a causa della natura remota di questi luoghi, sono rimasti isolati tra vallate e montagne impervie, tanto che sino al secolo scorso non usavano bere il thé, diffuso praticamente in qualsiasi parte dell’Asia. Uno dei miti che più li contraddistingue (forse di matrice antropologico-culturale) è quello che li vedrebbe come diretti discendenti dei soldati di Alessandro Magno, stanziatisi nell’attuale area durante le campagne militari guidate dal condottiero macedone, ma di questo non vi è certezza. Non si sa se sia una leggenda costruita da loro stessi o da altri; tuttavia non è detto che tale ricostruzione sia completamente inverosimile o improbabile. Un popolo affine ai kalash, soprattutto da un punto di vista linguistico, è quello dei Nuristani localizzato nell’adiacente Afghanistan nella provincia dell’omonimo Nurestan, noto anche anche come Kafiristan che vuol dire letteralmente “terra dei miscredenti”. I nurestani come i kalash fino a qualche secolo fa avevano le stesse pratiche animistiche, con sincretismi dovuti all’influenza di elementi forse induisti. In pratica costituivano un unico popolo. Nonostante dal 1895 abbiano abbracciato la fede islamica, continuano a mantenere ancora oggi un sostrato di credenze animistiche. I nurestani hanno tratti somatici caucasoidi di tipo europoide, ed anche loro hanno un’etno-genesi oscura.
I kalash, professano una religione politeista con diversi Dei simili alle divinità greco-romane. Secondi gli antropologi è una trasformazione dell’induismo. Per loro, la vita è fatta di opposti e di dualismi: luce-tenebra, bianco-nero, destra-sinistra, bene-male. Come già detto, praticano una religione politeista nella quale ogni singola divinità ha una funzione protettiva ben specifica; secondo loro tutta la natura è pervasa da una certa benevolenza divina, e gli dei giocano un ruolo attivo nella vita di tutti i giorni. Gli spiriti degli antenati sono come dei numi protettori del focolare domestico che assicurano la perpetuazione della tradizione, garantendo l’unità della comunità. Gli sciamani sono gli intermediari tra il mondo terreno e quello soprannaturale ed hanno un ruolo di conservazione della religione e del culto. I kalash adorano le loro divinità offrendo sacrifici e olocausti in luoghi sacri o adatti al culto. Le tre feste più importanti dell’anno sono: il Kalash Chilam Joshi in primavera; il Kalash Uchal durante l’estate e il Kalash Choimus in inverno. Pregano al suono di canti tradizionali danzando in cerchio. La danza e il ballo comunitario hanno un significato molto importante, così come il cerchio che rappresenta l’elemento ciclico dell’esistenza. Va notato che la pratica della danza del cerchio è comune a diversi popoli che sono enormemente distanziati tra loro: basta pensare alla danza dei serbi chiamata Kolo*. Dopo la morte vanno in un paradiso rappresentato da una dimora celeste posta su di una montagna; la dannazione non esiste perché la loro vita è predestinata solo alla gioia.
In autunno viene celebrata una festa che ha molte analogie con le ricorrenze greco-romane. Si tratta della festa della vendemmia che serve a preparare l’avvento del periodo sacro invernale. L’uva servirà per la celebrazione del solstizio d’inverno in cui sarà lecito ubriacarsi per accostarsi ai loro dei, tanto è vero che durante tutto il corso dell’anno non consumano alcool. Anche in questo caso ricorrono diversi aspetti antropologici che accomunano queste ritualità alle manifestazioni dionisiache romane, nelle quali l’ebbrezza del vino è l’ebbrezza stessa della vita, che va vissuta con slancio e pulsione istintiva.
Il vino rappresenta simbolicamente la vita; la sua sacralizzazione permette di consacrare l’intera esistenza ai loro dei, che sono i padroni della felicità. Ancora oggi gli dei greci e romani rivivono tra le alture e le vallate del Pakistan più inaccessibile, tra case di legno e di pietra adornate con i tralci della vite e con i simboli degli animali. Chissà che non siano davvero i discendenti di Alessandro! Questi sono i kalash: gli ultimi adoratori degli Dei alessandrini!
* Confronta in questa stessa sezione (etno-antropologia) il reportage sui Gorani.