D-Day 1944: le ore più lunghe di Steele «nella notte del Giorno più Lungo».

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John Steel

Sainte-Mère-Église è un piccolo borgo francese della Bassa Normandia di circa 1.600 abitanti.
Deve la sua celebrità ad un fatto accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale nella notte tra il 5 ed il 6 giugno del 1944 in occasione dello Sbarco in Normandia. Fu infatti il primo comune francese ad essere liberato dagli alleati durante quell’operazione. Lo Sbarco in Normandia è stata senz’altro l’operazione militare anfibia più grande della storia. Venne chiamato «D-Day», definito spesso «il giorno più lungo» – e fu condotto dagli alleati allo scopo di invadere la Francia ed iniziare la liberazione dei territori conquistati dalla Germania aprendo in tal modo un nuovo fronte ad occidente. L’intento era di separare ed indebolire le forze tedesche già impegnate da qualche anno in quello orientale. L’operazione Overlord fu l’intero piano di attraversamento del Canale de La Manica, e dunque comprendente sia lo sbarco, sia l’invasione vera e propria. Quella strettamente marittima venne denominata Operazione Neptune e pertanto quest’ultima non fu altro che un singola fase della prima, nettamente più vasta. Vi parteciparono contingenti statunitensi, britannici e canadesi, ma anche polacchi, cecoslovacchi e di altre nazionalità. Già prima della mezzanotte erano sbarcati circa 155.000 soldati. Lo sbarco fu previsto inizialmente per il 5, ma fu rimandato di un giorno a causa delle cattive condizioni meteo. 

cimitero militare americano di Colleville-sur-Mer, Normandia

«Hitler, convinto che lo sbarco in Normandia non costituisse il “vero” secondo fronte, esitava a impiegare le sue forze più importanti contro quella testa di ponte. Quel giorno le unità navali tedesche furono avvisate di tenersi pronte per attacchi a sorpresa altrove […]»
[M. Gilbert, La grande storia della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano, 1989, p. 615.]

Il 10 giugno 1944 erano riusciti a sbarcare circa 325.000 soldati alleati. L’operazione di depistaggio messa in campo dagli alleati chiamata anche «Operazione Fortitude» riuscì a generare il convincimento tra le alte schiere di comando tedesche che lo sbarco sarebbe avvenuto in una località più a nord, in territorio belga.
Queste azioni diversive, unite alle fortunate intercettazioni delle comunicazioni Enigma e ad una serie di altre circostanze, giocarono a favore degli alleati che come detto rinviarono lo sbarco anfibio di un solo giorno a motivo delle avverse condizioni climatiche. 
In quel momento storico lo scenario mondiale vedeva sei fronti di guerra: il primo in Normandia; il secondo in Italia; il terzo a Leningrado tra l’URSS e la Finlandia; il quarto nella Nuova Guinea; e gli altri due uno in Birmania e l’altro in Cina. Nella notte tra il 5 ed il 6 giugno alcuni reparti dell’82ª Divisione Aviotrasportata, vennero paracadutati sul piccolo villaggio di Sainte-Mère-Église. Intorno all’una di notte, il giovane americano John Steele inquadrato nel 505° reggimento si lanciò sulla cittadina francese assieme ai suoi compagni di azione capitanati dal tenente Harold Cadish. Fu il 5° in ordine di lancio e mentre cadeva sulla Normandia sol suo paracadute si accorse, tra i tanti bagliori causati dall’imperversare dei fuochi della guerra, che la piazza di quel piccolo borgo era già uno scenario di scontri a fuoco. Nel momento in cui scendeva sulla Chiesetta locale, giunto ormai a poche decine di metri dall’impatto al suolo, rimase impigliato sulla guglia del campanile.

D-Day, lo sbarco

Tentò di liberarsi dall’imbracatura ma non vi riuscì. Mentre era appeso, già ferito ad una gamba per via di altre azioni, provò a tagliare i fili del suo sacco volante ma il coltello gli scivolò. A quel punto si finse morto. Rimase imbrigliato ed appeso a quel campanile per più di due ore. Dovette subire persino il frastuono generato dall’enorme campana, la quale gli provocò anche qualche danno all’udito. Cercò per quanto possibile di rimanere immobile in quelle ore che gli sembrarono interminabili. Subito dopo venne catturato da due soldati tedeschi, Rudolf May, e Alfonz Jakl. Venne tirato su, intorno alle 04:00 e queste furono davvero le ore più lunghe della sua vita. Dopo tre giorni però riuscì a scappare. John Steele è l’esempio del tipico combattente miracolato della Seconda Guerra Mondiale. La sua avventura di guerra inizia con l’arrivo in Africa del Nord nel maggio del 1943; prosegue con lo sbarco in Sicilia nel luglio di quello stesso anno. Colpito ad una gamba viene riportato in Tunisia. Da lì nel mese di settembre viene mandato a combattere a Napoli e a Salerno, e dopo circa due mesi in Inghilterra. Quello che è accadde all’inizio dell’estate del ‘44 è storia nota.

il manichino di Steele

John Steele ebbe una serie di circostanze benevoli che giocarono a suo favore consentendogli di sopravvivere. Molti dei suoi commilitoni vennero feriti dal fuoco tedesco; altri finirono in mare dove annegarono; altri ancora rimasero impantanati negli acquitrini delle campagne normanne allagate dal generale Rommel in funzione difensiva. Venne catturato da due semplici soldati dell’esercito regolare tedesco (Wehrmacht): di certo non avrebbe avuto altrettanta fortuna se fosse stato preso da qualche reparto delle SS. Basta pensare che il giorno del D-Day, presso il villaggio di Buron a circa sei chilometri a nord-ovest di Caen, un’unità delle SS fucilò 34 soldati canadesi. Altri prigionieri furono trucidati nelle ore successive.
Un tenente colonnello delle SS, Kurt Meyer chiese ad un barelliere canadese della Croce Rossa: «che cosa dobbiamo fare di questi prigionieri? Non fanno altro che mangiare le nostre razioni». Steele fu davvero molto fortunato. Nel corso della sua vita tornò diverse volte a Sainte-Mère-Église durante le diverse commemorazioni del D-Day. Morì di cancro nel 1969.
Da allora, un manichino che rappresenta Steele è appeso sulla Chiesa di Sainte-Mère-Église, per ricordare l’evento di quella formidabile notte che cambiò tutto il corso della guerra e della storia europea.

 

 

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