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L’Inguscezia è la più piccola e giovane repubblica della Russia. È una repubblica autonoma russa non indipendente del Caucaso del Nord. Appartiene infatti al Distretto Federale del Caucaso Settentrionale, nella Russia Meridionale. Si trova tra l’Ossezia del Nord e la Cecenia con la quale era accorpata nell’allora Unione Sovietica, nella repubblica autonoma della Cecenia-Inguscezia. Gli ingusci chiamano la loro stessa terra «Ğalğaj Moxk» che vuol dire«la terra degli abitanti delle fortezze». È un luogo incantevole e possiede ancora una bellezza semplice e selvaggia. Dopo un lungo e travagliato periodo di instabilità economica e politica sembra quasi che oggi sia rinata. Di essa ce ne siamo occupati già nel 2012 in un precedente articolo edito per un periodico online che si occupa di cultura dell’Europa Orientale nel quale abbiamo descritto la sua condizione socio-politica; il quadro venuto fuori era ancora disarmante: corruzione, violenza e turbolenze etniche erano materie di ordine quotidiano. Oggi in gran parte del suo territorio regna una certa pace e sicurezza sociale. Non vi sono di certo tante infrastrutture moderne ma comunque si iniziano ad intravedere le prime costruzioni di una certa importanza che sono in fase di realizzazione. Questi sono i primi timidi frutti della modernizzazione.
Tra le sue montagne c’è una delle più antiche chiese cristiane della Russia, quella di Tkhaba-Erdy databile tra i secoli VIII-XII d.C. segno di una precoce evangelizzazione di tutta l’area del versante nord del Grande Caucaso che col tempo però ha ceduto il posto alla fede islamica.
Ci sono le torri dei Galgai, silenziosi testimoni della travagliata storia di queste montagne, raggruppate in diversi complessi: quello di Erzi, Tsori, Vovnushki, Dzeirakh, Targin, Egikal. Erano torri di avvistamento sparse per le montagne e diffuse in Ossezia, in Cecenia, nel Daghestan e soprattutto in Georgia. Non erano altro che un sistema di guardia e difensivo. Le valli e le montagne del Caucaso sono state terre di guerrieri e di cavalieri. Eserciti ed imperi si sono fatti strada tra queste vallate desolate ed inaccessibili. Per vedersi salva la vita gli abitanti erano costretti alla fuga; ma in un territorio aspro e duro come quello caucasico l’unica vera via di salvezza era quella di restare e di resistere.
Ecco che anziché creare delle fortificazioni comuni, gli stanziali iniziarono a costruire piccoli agglomerati distinti e distanti gli uni dagli altri.
Non si trattava di veri e propri villaggi, ma di nuclei familiari in cui ogni clan costruiva le proprie torri-fortezze: erano allungate in altezza in funzione difensiva ed allargate alla base per poterci vivere dentro con tutto il nucleo parentale. Durante l’epoca stalinista fu ordinato che venissero fatte esplodere. I montanari si opposero e adesso sono ancora in piedi come alti testimoni di un lontano passato.
La più famosa di esse è la Torre Vovnushki, definita una delle sette meraviglie della Russia. È visitabile solo in certi periodi dell’anno, in quanto le strade sterrate a causa della presenza di tanti fiumi, sono quasi sempre a rischio inondazioni. Oggi le mute vestigia di quel mondo guerriero nel quale si scontravano spesso i figli della stessa gente sembrano assistere ad una riscoperta culturale.
Sono alture che attirano turisti, avventurieri e viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo. Alpinisti, scrittori, motociclisti ed escursionisti percorrono le sue impervie strade rocciose, verdi, piovose ma talvolta anche assolate.
Magas – che vuol dire «città del sole» – nel 2002 è diventata la nuova capitale, sostituendosi a Nazran. Sorge accanto alla precedente e vecchia città di origine medievale già capitale dell’Alania, un antico regno del Caucaso Centrale costituito per l’appunto dagli alani, un popolo di origine iraniana che va ricompreso nel gruppo dei popoli sarmati. Oggi l’antica Alania è ridotta alla sola Ossezia, distinta in Ossezia Settentrionale ed Ossezia Merdionale, divise tra la Russia e la Georgia.
Tornando a Magas occorre dire che è una città nuova, grande, confortevole e ben tenuta. Sembra un enorme cantiere. Tutto è nuovo e tutto è in costruzione. Si pensa che diventerà ben presto un nuovo polo attrattivo per tutta la regione centro-caucasica. Le strade sono dritte e non tortuose; sono tornate a seguire la geometria urbanistica del vecchio stile sovietico. Dappertutto regna l’ordine e gli edifici sono moderni. I caffè sono aperti d’estate ed i nuovi hotel spuntano un po’ ovunque offrendo ai turisti tutte le comodità possibili. Fino a qualche anno fa erano invece concentrati solo a Nazran o in qualche isolato borgo montano.
Oggi nel villaggio di Armkhi, in piena montagna, ci sono sei pensioni e persino un resort attrezzato di impianti sciistici che non hanno nulla da invidiare a quelli dei paesi moderni. Vi si trovano piscine, locali, saune e tutti i servizi tipici dei migliori posti di villeggiatura alpina.
In ogni caso è bene ricordare che i vacanzieri per recarsi nei distretti montani ai confini con la Georgia devono richiedere ed ottenere dei permessi speciali (*ricordiamo ai lettori che la Federazione Russa è ancora in uno stato di tensione con la Georgia a motivo della guerra del 2008 – N.d.r.).
Oggi la Repubblica vive attimi di rinascita.
Il suo presidente Junus-bek Bamatgireevič Evkurov, un tataro (o tartaro) di origini turche eroe della Federazione Russa, sulla sua sicurezza e sul benessere sociale ha investito parecchio. È stato da sempre attento alle esigenze del popolo inguscio garantendogli il rispetto che merita sia nel Caucaso sia in ambito più ampiamente federale. Ha inaugurato scuole, fabbriche, ospedali e centri culturali; ha saggiamente avviato nuove opere infrastrutturali lautamente finanziate dal governo centrale. A Malgobek inaugurerà a breve una fabbrica per la produzione di arredi scolastici; nella capitale presenzierà all’apertura del palazzo della cultura e tanto altro ancora. La piccola entità federata è in frenetica costruzione e sembra realmente un gigantesco cantiere fisico e culturale. Fino a poco tempo fa, assieme alla vicina Cecenia, era probabilmente il luogo più violento e cupo del Caucaso. Oggi sembra che questo triste primato sia passato al Daghestan. Rispetto ai vicini ceceni, con i quali condividono storia, cultura e religione, gli ingusci conservano antiche pratiche ed usanze appartenenti ad un universo superstizioso che pervade ancora parte della loro vita.
L’Inguscezia ha subito diverse violenze, epurazioni e guerre. Forse adesso si è lasciata tutto alle spalle. Ancor oggi davanti gli uffici pubblici campeggiano cartelli con su scritto: «è vietato l’ingresso con il mitra».
(fonte: Rossijskaja Gazeta, www.rbth.com).