I gorani: «i serbi non-serbi» che venerano San Giorgio.

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Restelica [foto di Aljabakphoto con licenza CC BY-SA 4.0]

Il Kossovo (o Kosovo) i Metohija è uno stato balcanico a maggioranza albanese autoproclamatosi indipendente dalla Serbia nel 2008 (da quest’ultima rivendicato) e riconosciuto come tale, in sede ONU, da 115 nazioni su 195.
Nell’estrema sua porzione di territorio a sud, sulle montagne che lo separano dall’Albania e dalla Macedonia, vivono i Gorani, una rarissima comunità slava di religione musulmana che risiede nel comune di Dragas, nella regione di Prizren. Sono circa 70.000. La complicata struttura etnica di queste genti fa sì che ricostruire la geografia antropica di questi territori diventi estremamente difficoltosa, in quanto i parametri di classificazione sono spesso insufficienti o inadeguati di fronte alle mille difficoltà causate dalle tante specificità presenti nelle stesse minoranze nazionali.

Kossovo [foto di Burmesedays, by Globe-trotter, con licenza CC BY-SA 3.0]

Vivono in tre villaggi confinanti con la Macedonia, che ricordiamo era una delle sei repubbliche federate che costituivano la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavija e in nove villaggi al confine con l’Albania, che come sappiamo non è un nazione slava, ma un popolo a sé. Si chiamano «gorani» in quanto sono originari di “Gora”, una regione montuosa e quasi impervia, che deriva da una parola che nelle lingue slave significa “montagna”. Questa regione comprende: i comuni di Dragaš (che possiede circa 19 frazioni) appartenente al Distretto di Prizren, ma da esso ben distinto; il comune di Shishtavec in Albania e la zona intorno le montagne di Šar in Macedonia. Al censimento del 1981, l’ultimo dell’allora Yugoslavia unita, si dichiararono “musulmani per nazionalità”. Non sono altro che i discendenti degli antichi serbi, dai quali si differenziano perché hanno abbandonato il cristianesimo ortodosso per convertirsi all’Islam durante il dominio dei turchi-ottomani. Dominio durato diversi secoli. Per questo motivo lo scrivente li definisce «serbi non-serbi.» Parlano un dialetto serbo, che come lingua va ricompresa nel serbocroato (parlato in Serbia, Croazia, Bosnia e Montenegro). Molti studiosi ritengono che il loro sia un idioma macedone (torlak) o addirittura bulgaro. Chiamano la loro lingua «našinski» (la nostra lingua) via di mezzo tra serbo e macedone. Gorano letteralmente vuol dire “abitante delle montagne” (in cirillico: Горанци, Goranci o Goranski). Spesso essi stessi si autodefiniscono «našinci» traducibile in italiano con “la nostra gente”. Gli albanesi, che costituiscono quasi il 90% di tutta la popolazione del Kossovo, li appellano con nomi diversi: Torbeshë e Poturë. Occorre dire, a titolo meramente informativo, che i torbesh e i pomacchi (dei quali si parlerà in un apposito articolo), insieme a loro rappresentano altre due rarissime minoranze di popoli slavi non-cristiani.

cascate di Mirusha [foto by Pixabay]

Gora è stata popolata da diversi popoli slavi nel sesto e nel settimo secolo. A metà del 1400 fu conquistata dai turchi ottomani e da lì ebbe inizio un processo di lenta assimilazione verso la cultura dei dominatori. Tale tendenza sembra sia stata seguita anche dai torbesh macedoni, dai pomacchi bulgari e soprattutto dal popolo slavo non-cristiano più numeroso di tutti: i bosniaci. I gorani nonostante la loro profonda islamizzazione, iniziata nel ‘500 e terminata nel 1700, hanno continuato a mantenere nel corso dei secoli una serie di tradizioni tipiche dei bogomili (una setta eretica cristiana) tanto da celebrarne le festività rispettando i giorni dei santi del calendario cristiano, soprattutto quello influenzato dall’ortodossia orientale. La festa più importante dell’anno è infatti il Durđevdan «il giorno di San Giorgio» il 5 e il 6 maggio. Questo lo si può vedere anche nei balli tradizionali che continuano a mantenere: il «kolo» (‘cerchio’) è una danza serba che si balla per l’appunto in cerchio e si basa sui movimenti del piede. In seguito alla conquista italiana dell’Albania, su richiesta diretta di Romavenne ridefinito il confine con il Regno di Yugoslavia sotto la dinastia dei Karađorđević. Molti gorani allora si ritrovarono improvvisamente a vivere sotto il dominio italiano. Negli anni del dopoguerra a causa della siccità e delle tante carestie, nonostante vivessero in zone altamente montane, furono costretti a spostarsi in altre parti del Kosovo dichiarandosi etnicamente bosniaci. Non possiamo non accennare alle guerre jugoslave, che nel decennio compreso tra il 1991 – 2001 si sono estese in tutta l’ex Jugoslavija, e che qui in Kossovo si sono trasformate in guerre etniche di tipo regionale. Il confronto maggiore ha riguardato da un lato i serbi che si definiscono “prigionieri in casa” e dall’altro gli albanesi diventati nel corso del tempo l’etnia maggioritaria di questi luoghi. Su tale questione occorre però precisare che le posizioni degli storici delle due parti non sono affatto concordi. In mezzo a questi due poli ci sono loro, i serbi non-serbi di Gora.

moschea Sinan Pascià, Prizren [foto by Pixabay]

Dopo i bombardamenti della NATO nel 1999 contro la Yugoslavia di Milosevic’, alla UNMIK (Missione delle Nazioni Unite nel Kosovo) è stata assegnata l’amministrazione del Kosovo per il mantenimento della pace e per la tutela dei diritti umani di tutte le popolazioni locali.
A Dragaš (Sharri in albanese), cuore gorano, gli albanesi già a metà degli anni 2000 sono diventati maggioranza etnica. Qui hanno tentato di iniziare un processo di assimilazione degli abitanti di Gora tramite dei programmi specifici pianificati nelle scuole, per insegnare ai bambini slavo-montanari “che essi in realtà sono albanesi”!
In tutta la regione stazionano ancora contingenti militari delle Nazione Unite come forze di interposizione tra le varie componenti in lotta tra loro. Lotta che ha portato ad una serie di conflitti estesi in tutta l’area kossovara e macedone; lotta che non ha risparmiato crudeltà da tutte le parti. Sono un popolo che vive prevalentemente di pastorizia e di agricoltura. I pascoli sempre verdi e in grande altura forniscono una relativa ma comunque insufficiente economia di sussistenza. Gli uomini sono ottimi falegnami, carpentieri e ottimi pasticceri. Oggi la maggior parte di essi, vive emigrata (con cifre straordinariamente spaventose e con tassi che vanno oltre il 70%) in Germania, in Canada e in Italia: molti di essi lavorano in Toscana. Le donne sono abili nell’impreziosire i ricchi e variopinti abiti tradizionali, con cui sfoggiano la loro bellezza in occasione delle ricorrenze religiose. 

Prizren [foto CC0]

La KFOR (la forza militare internazionale della NATO) ha sempre sbarrato il loro confine al commercio verso la Macedonia che per essi è di vitale importanza. La mancanza di lavoro riduce le possibilità di sopravvivenza per l’intera comunità. Gli uomini rientrano d’estate per ritrovare i loro cari con l’intima speranza di vedere che un giorno la loro terra e le loro montagne possano avere un nuovo corso. Relegati in altura, arroccati su quelle montagne spesso innevate, si trovano a vivere in una perpetua terra di mezzo, priva di lavoro e di sicurezza.
Una volta qui le macchine giravano con la sigla automobilistica internazionale YU (Yugoslavia). Oggi in giro si vedono strani simboli. Sul muro di una casa di Brod campeggia una scritta: «Bosnia»; in qualche caffè sperduto, tra strade semi asfaltate e tra dimore senza facciata, spesso si vede sventolare qualche bandiera turca, come a ricordare che qui, molto tempo fa, gli ottomani invasori erano benaccetti. In un villaggio serbo, protetto dai militari della coalizione internazionale, una bandiera serba annuncia invece a chiare lettere: «Kosovo je Srbija (il Kossovo è Serbia)». Non lontano un’altra bandiera, stavolta rossa con l’aquila nera albanese, ribadisce al contrario che in questi territori inizia la Grande Albania!
La Jugoslavija di Tito forse non è riuscita a portare pienamente il verbo socialista tra queste alture; si può affermare che ha scalfito in modo marginale la loro cultura e il loro credo. Eppure a molti sfugge un detto che una volta era più che un semplice slogan e che ancora oggi lo si può leggere sulle mura cadenti delle vecchie caserme volute da Tito in giro per tutta la Jugoslavija. Era un messaggio che per ogni buon cittadino era più che un verbo assoluto e che adesso è nettamente in contrasto con tutti i nuovi slogan sorti dalle macerie della stessa YU. «Čuvajmo bratstvo i jedinstvo, kao zjenicu oka svoga  = Proteggete la fratellanza e l’unità come la pupilla dei vostri occhi».

 

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«il Corriere della Storia (& il Diario Boreale)» è un giornale di guerra che si occupa di etnoantropologia, di geografia e di linguistica. È un'antologia sul cinema che raccoglie tutte quelle pellicole ispirate a fatti realmente accaduti. È un foglio del passato che narra storie di luoghi, di uomini e di popoli. È un quaderno di storia che racconta i fatti del cielo, del mare e della terra, che hanno avuto come protagonisti gli uomini di ogni epoca !!!

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